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Omelia 21 febbraio

Una felicità da rimettere continuamente in gioco, che non sia fatta di uno stare fermi ma di un continuo ripartire.
Per questo insieme a Pietro oggi la liturgia ci parla di Abramo.
Sempre in cammino, mai fermo.
Ma probabilmente un uomo felice.
Non avrebbe nessun motivo per esserlo, se non la promessa di Dio.
E la sua personale capacità di non accantonare il suo sogno anche quando le cose proprio non girano, o addirittura ti remano contro.
Abramo è uno che ha intuito la tecnica di Dio: intervenire quando tutte le possibilità dell’uomo sono bruciate e non c’è più nulla da aspettarsi.
Per questo io lo penso felice.
E senza bisogno di piantare tende, di costruirsi una casa o di investire in immobili.
Felice di quella felicità interiore che può essere donata senza mai diminuire, può essere condivisa senza essere perduta.
A patto però di stare allo stile di Dio: l’uomo in genere è statico e ripetitivo, Dio è dinamico e sorprendente.
Scappa sempre avanti, spalanca orizzonti, accelera i passi.
Soprattutto quelli di chi accetta di scendere dal monte del proprio io per mescolarsi tra i volti dei fratelli.
È vero, forse la felicità non è di questo mondo, ma anche all’infelicità non dobbiamo permettere di essere troppo di casa.