
La Via 28 gennaio
AUTOREVOLEZZA (Mc 1,21-28).
Che valore hanno le nostre parole?
Ma più in genere, che valore ha oggi la parola? Ci fidiamo ancora delle parole udite, delle parole di promessa o di impegno?
La parola oggi è in esilio, dice un grande filosofo contemporaneo.
Siamo saturi di comunicazione, ma poveri di parole, cioè di quella profonda verità in esse contenuta che ha il potere di far crescere e generare vita.
Perché una parola eserciti tutto il suo potere c’è bisogno di tanto altro: il contesto in cui è pronunciata, il timbro della voce, l’espressione del volto di chi la proferisce.
Delle parole di Gesù possiamo solo immaginare tutto questo.
Non ci è dato conoscere la voce né i tratti del viso.
Ma sappiamo dai Vangeli che la sua Parola era autorevole.
Parlava e il suo parlare faceva crescere.
Così almeno racconta l’episodio di oggi.
Ma con una aggiunta: la guarigione di un uomo posseduto da uno spirito impuro.
Nel Vangelo di Marco questo miracolo occupa un posto importante essendo il primo ad essere narrato.
L’uomo è nella sinagoga, tranquillo, e ad un certo punto dopo aver sentito Gesù si mette a gridare.
Sappiamo bene che è la paura che fa gridare non certo la forza.
Qualcosa in lui si è mosso, si spaventa, qualcosa di impuro, di ostile alla Parola del Signore.
Il modo in cui Gesù ha parlato ha messo in luce una profondità dell’animo di quell’uomo che sinora era nascosta a tutti. Una profondità malsana che solo venendo alla luce poteva essere guarita. Questa è la forza della Parola di Gesù: essa permette di chiamare le cose col proprio nome e fa sì che emergano le vere motivazioni del nostro agire, le passioni radicate e nascoste.
Scoprirle non è mai indolore: è una lotta, una battaglia con se stessi, e a volte anche con Dio.
Perché stare davanti a Gesù non è solo fonte di consolazione; è anche pericoloso. Ma liberatorio.
Ci sono contraddizioni, mezze misure, tiepidezze che non potranno reggere l’urto di un ascolto vero della sua Parola.
Ma tutto questo non è che una benedizione.
Don Umberto

