Esodo
Indicazioni per una lettura spirituale.
L’inizio di un popolo di credenti.
Per quanto il capitolo 1 dell’Esodo tenda a far risaltare le tinte della narrazione, dando solennità e risonanza ai fatti che racconta, non c’è alcun dubbio che abbiamo a che fare con un episodio del tutto marginale rispetto alla grande storia dell’impero egiziano e della civiltà che in esso si esprimeva. Si può motivatamente sostenere che la narrazione si situa storicamente nell’ambito dei fatti accaduti nel corso del sec. XIII a.C., al tempo della XIX dinastia. Ma nulla è lecito affermare oltre questa approssimativa collocazione temporale. Eppure, l’autore sacro non ha alcun timore di sbilanciarsi troppo quando dichiara che «i figli d’Israele prolificarono e crebbero, divennero numerosi e molto potenti e il paese ne fu ripieno» (Es. 1,7). In questa espressione, anzi, viene riecheggiata addirittura una delle promesse rivolte anticamente da Dio ai Patriarchi: la promessa di una discendenza numerosa «come la polvere della terra », «come le stelle del cielo », «come la sabbia del mare» (cfr. Gen. 12,2; 13,16; 15,5; 22,17; 26,4.24; 28,3.14; 32,13; 35,11; 46,3; 48,4.16). Tale promessa si è dunque compiuta, aprendo una nuova fase della Storia della Salvezza. Con i primi versetti del capitolo 1 dell’Esodo si inaugura ormai il tempo definitivo della storia, quello in cui Dio porta a realizzazione le speranze e le attese che egli stesso ha suscitato nel cuore degli uomini.
La storia del popolo d’Israele, in quanto tale, comincia il giorno in cui si avverte la contraddittoria divaricazione che contrappone il livello degli eventi e dei fenomeni rilevabili in base all’analisi storiografica, al livello dei significati rivelati, che solo la fede sa scoprire e interpretare nella storia. Mentre alla lettura ufficiale dei fatti sfugge l’avventura irrilevante di quei gruppi di Ebrei sbandati, alla coscienza d’Israele si manifesta in tutta evidenza che proprio in questa vicenda di scarsa risonanza si è iniziata quella storia che andrà assumendo un significato universale ed assoluto per quanto riguarda l’interpretazione e la spiegazione della salvezza di tutta l’umanità. Così, dunque, comincia la storia d’Israele: con un atto di fede che impara a scorgere il compiersi delle promesse di Dio nella banalità di situazioni ed esperienze dimenticate.
Ma c’è ancora qualcos’altro da aggiungere, a questo proposito. Gli esegeti individuano in questo capitolo la presenza di almeno tre diverse tradizioni (i vv. 1-5 apparterrebbero alla tradizione sacerdotale, i vv. 6-14 a quella jahvista e i vv. 15-22 a quella elohista), le quali annunciano fin dalla prima pagina l’intreccio di tradizioni che, variamente fuse, daranno corpo a tutto il libro dell’Esodo. A prescindere da ogni considerazione di carattere tecnico-letterario val la pena di tener presente che questo modo di assommare insieme le tradizioni concernenti il proprio passato corrisponde ad un preciso valore teologico e spirituale. In realtà Israele sta raccontando di sé tutto quello che sa e tutto quello che sa dire: il gioco delle tradizioni che si sovrappongono l’una all’ altra non serve ad altro che ad esprimere la totalità dei ricordi. Tutto il passato d’Israele deve essere conservato come un patrimonio prezioso, perché in esso si è manifestata la presenza di Dio, che ha compiuto la salvezza del suo popolo. Tutto ciò che Israele ricorda dei suoi inizi è qui; e tutto si riassume in una presa di coscienza del fatto che la storia d’Israele comincia con uno sguardo di fede, con cui si affida a Dio tutto il significato delle cose che succedono. È questo l’inizio di un popolo di credenti, i quali giocano tutti i ricordi del proprio passato sulla contemplazione di Dio che compie le sue promesse. La condizione di minoranza: incubo e amarezza
La vicenda narrata nel capitolo 1 dell’Esodo si svolge al di fuori di qualunque prospettiva mitologica o mitizzante. La nascita del popolo d’Israele non viene fatta risalire in nessun modo ad un’origine divina, quale era invece normale che pretendessero attribuirsi tutti i popoli dell’antichità quando narravano le proprie origini. Israele sa, anzi, di avere alle proprie spalle una sorta di vuoto, segnato dalla morte di Giuseppe e dei suoi fratelli (cfr. 1,6): sembra quasi che i gruppi di Ebrei residenti in Egitto siano gruppi di gente ormai senza passato, sottoposti alla prepotenza di chiunque intenda negare ogni loro originalità culturale e spirituale. È quanto si verifica il giorno in cui « sorse sull’Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giusppe » (1,8). Né la nascita del popolo d’Israele viene fatta risalire ad un nucleo di personalità particolarmente brillanti ed intraprendenti. Ci troviamo di fronte, anzi, ad una massa da manovra, umiliata e sottoposta all’oppressione dei lavori forzati (cfr. 1,11). In questa massa di persone senza più dignità e senza coraggio, non c’è nessuno che protesti, nessuno che si faccia avanti, nessuno che si opponga, nessuno che emerga e polarizzi l’attenzione; «e così costruirono per il faraone le città-deposito, cioè Pitom e Ramses» (1,11).
Il fatto è che la nascita del popolo d’Israele deve scaturire proprio dalla situazione umana di una piccola minoranza. Al di là della facile poesia con cui si può spesso inneggiare verbalmente ad una specie di ideale degli esclusi, degli ultimi, degli emarginati, è pur necessario non dimenticare mai che il popolo di Dio si formerà mediante il coagulo di gente che avrà lungamente vissuto l’esperienza di essere minoranza: si tratta di una condizione di minoranza” sul piano civile e politico, come pure sul piano culturale e religioso; e tutto si esprimerà platealmente nello sfruttamento economico del lavoro di quelle minoranze: «Gli Egiziani fecero lavorare i figli d’Israele, trattandoli duramente» (1,13).
Eppure, al nostro racconto non sfugge che proprio quei gruppi di Ebrei minoritari creano difficoltà e problemi alle autorità egiziane. È destino praticamente inevitabile che nella storia umana ogni minoranza sfruttata, quasi senza che essa stessa se ne accorga, diventi motivo di turbamento per la maggioranza degli sfruttatori. C’è nelle minoranze qualcosa di insopportabile, che suscita lo scandalo di coloro che hanno poteri e diritti: è come se la presenza di minoranze non recuperabili entro l’ambito sociale dei gruppi dominanti o entro lo spazio psicologico determinato dai comportamenti consueti ed ufficiali, si traduca in un incubo minaccioso. È così che i sogni degli Egiziani cominciano ad affollarsi di timori angoscianti: «Prendiamo provvedimenti nei suoi riguardi per impedire che aumenti…» (1,10). Ma non c’è modo per sfuggire a simili manie ossessive: «Quanto più opprimevano il popolo, tanto più si moltiplicava e cresceva oltre misura; si cominciò a sentire come un incubo la presenza dei figli d’Israele» (1,12).
In tale marasma di terrori e di risentimenti, di miserie e di rese incondizionate, l’unica evidenza che emerge in modo stabile e tangibile è l’amarezza degli Ebrei: «Resero loro amara la vita costringendoli a fabbricare mattoni d’argilla e con ogni sorta di lavoro nei campi: e a tutti questi lavori li obbligarono con durezza»
(1,14). Il capitolo 1 dell’Esodo non ” sta scherzando, né sta idealizzando o spiritualizzando nulla: il popolo di Dio nasce in condizione di minoranza, sperimentando fino in fondo una lunga, dolorosissima e ingiustificabile amarezza. Il popolo di Dio nasce in uno stato di mortificazione profonda, con la sensibilità di gente a cui viene contestato dal potere faraonico tutto ciò che di più genuino e vitale la libertà sa suggerire: gente a cui – in certo modo – viene contestata la vita stessa.
“Prima della creazione Dio disse agli angeli: io sto per creare il mondo per amore di Israele. Come dividerò nel primo giorno la luce dalla tenebra, così agirò con il mio popolo in Egitto: dense tenebre copriranno tutto il paese, ma i figli di Israele avranno luce nelle loro case. Come nel secondo giorno separerò le acque che sono sopra il firmamento da quelle che sono sotto il firmamento, così agirò con il mio popolo: dividerò le acque affinché egli possa attraversare il mar Rosso. Come nel terzo giorno formerò le piante, così agirò verso il mio popolo: gli manderò la manna nel deserto.
Come nel quarto giorno creerò i luminari, così agirò verso il mio popolo: camminerò davanti a lui in una colonna di nubi e la notte in una colonna di fuoco. Come nel quinto giorno io creerò gli uccelli, così invierò nel deserto le quaglie venute col gran vento marino. E come nel sesto giorno soffierò nelle narici dell’uomo un soffio di vita, così agirò verso il mio popolo: gli darò la Torah che porta vita!” (cf. Midrash Schir ha-Shirim 8).
LIBRO INDICATO
S.Herrmann, Il soggiorno di Israele in Egitto, ed. PAIDEIA
Lectio don Umberto