Esodo
Cap 1,15-22
Indicazioni per una lettura spirituale
Il «timore di Dio» della gente semplice
La narrazione del capitolo 1 dell’Esodo risente di palesi movenze popolaresche. Ciò è particolarmente evidente nell’episodio delle levatrici che impediscono la soppressione dei figli degli Ebrei ordinata dal faraone (cfr. 1,15-21). La figura del faraone, mentre non consente affatto una precisa identificazione con un personaggio storico, sta a rappresentare una forma di simbolo di tutte le forze oppressive, in quanto queste realizzano un potere organizzato sul piano delle realtà civili, politiche, culturali, religiose, ecc. Non deve dunque stupire l’ingenuità del comportamento del faraone, né la libertà con cui le donne si rivolgono a lui: in realtà, il racconto sta descrivendo in termini favolistici i tratti realissimi di uno scontro insanabile, che sempre contrappone sulla scena della storia due posizioni inconciliabili.
Da un lato sta la violenza autoritaria del faraone, dall’altro lato si manifesta invece un atteggiamento di resistenza, che questa pagina biblica chiama “timore di Dio” (cfr. 1,17.21).
Di fronte al potere del faraone, si trovano solo due donne in grado di fare resistenza: «Ma le levatrici temettero Dio: non fecero come aveva loro ordinato il re d’Egitto e lasciarono vivere i bambini» (1,17).
Non mancano nel comportamento delle due levatrici delle note burlesche, che pongono in risalto quanto sia ridicola la presunzione del potere assoluto: bastano due donnette da nulla per vanificarne le intenzioni malvagie (cfr. 1,18s.). Si tratta di due persone tra le tante, forse molto meno influenti di altre, certo molto più modeste di tanti grandi personaggi che occupano le pagine importanti della storia. Ed anche in questo gli inizi della storia del popolo d’Israele, hanno un valore esemplare: perché nasca finalmente un popolo di credenti, Dio utilizza le persone più, nascoste ed insignificanti, appunto perché sono queste che normalmente sanno tener testa con maggiore vigore all’invadenza del potere. È questa resistenza al male storicamente organizzato che il capitolo 1 dell’Esodo chiama “timore di Dio” e che attribuisce alla gente, più semplice, priva di grandiose motivazioni ideologiche o teologiche ma ricca di buon senso e di sensibilità umana.
C’è in questo « timore di Dio» della gente semplice una forza profetica che torna a vantaggio di tutti.
Per via misteriosa, l’opposizione nascosta che la gente modesta contrappone al potere oppressivo – fosse anche soltanto in quello spazio ristrettissimo, ma essenzialissimo, di libertà che è la propria coscienza – acquista sempre la funzione di una profezia di bene per tutti. È questa la conclusione anche del nostro racconto, quando vi si dice: «Dio beneficò le levatrici. Il popolo aumentò e divenne molto forte. E poiché le levatrici avevano temuto Dio, egli diede loro una numerosa famiglia» (1,20s.). Nel testo ebraico, questo « loro» è un pronome personale maschile, che non si riferisce tanto alle due donne, quanto piuttosto a tutto il popolo: è tutto Israele che riceve da Dio il beneficio di una «numerosa famiglia»! Il popolo d’Israele, dunque, sta nascendo in virtù del coraggio profetico con cui due semplici donne sanno contrapporsi al potere faraonico.
Anche se derisa, la cattiveria autoritaria del re d’Egitto non disarma; anzi, il capitolo si chiude con l’incupirsi minaccioso dell’orizzonte: «Allora il faraone diede quest’ordine a tutto il popolo: “Ogni figlio maschio che nascerà agli Ebrei, lo getterete nel Nilo, ma lascerete vivere ogni figlia” » (1,22). Nuove nuvole di amarezza e di sofferenza si addensano in lontananza. Per ora non rimane altro che un briciolo di speranza, appena appena evocata dalle figure delle due levatrici, ma suffìcientemente potente per illuminare ancora, con un bagliore silenzioso e meditabondo, la morte assurda di molti innocenti.
L’odio e la condanna che questi testi suscitano sono sempre rivolti contro il faraone, il simbolo del potere. Il popolo di Israele non dovrà però mai odiare gli egiziani:
“Non avere in abominio l’egiziano perché sei stato ospite nella sua terra!” (Dt 23.8) dirà la legge, e ancora: “Ama lo straniero perché sei stato straniero in terra d’ Egitto” (Es 22.20; Dt 10.19).
Rava domandò a Rabba bar Mari: “A quale testo si ispira questo proverbio: Nel pozzo dove hai bevuto non gettare sassi? Rabba bar Mari rispose: Al testo che dice “non avere in abominio l’egiziano perché sei stato suo ospite”.