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IL MONACHESIMO IN EGITTOpdf50
I PRIMI CENTRI MONASTICI
Le origini
La chiesa dei primi tre secoli ha considerato il martirio come “la perfezione più alta alla quale possa giungere un discepolo di Cristo”. Nessun’altra idea, in seno alla chiesa primitiva, ha avuto “maggior diffusione e fecondità; anche dopo che la pace era stata restituita alla chiesa, quando le occasioni di martirio si furono rarefatte, il martirio restò quel che era, la perfezione stessa…
Il martire è veramente colui che segue Cristo ovunque egli vada, il suo autentico discepolo”.
Ma se il martirio era l’ideale al quale tutti i cristiani ferventi aspiravano, non era tuttavia offerto a tutti. Esistevano altri modi per imitare la carità di Cristo, senza versare il proprio sangue, nell’arena.
Tra la fine del III secolo e la metà del IV, gli asceti e le vergini si moltiplicano: essi uniscono spesso alla loro vita fervente un’effettiva separazione dal mondo, giungendo fino al completo ritiro nel deserto. Nasce così il monachesimo, che appare quasi simultaneamente in diverse regioni del mondo cristiano, come per un fenomeno di crescita spontanea.
Tuttavia esso ricevette fin dall’inizio l’impronta di un certo numero di uomini di Dio il cui irraggiamento carismatico fu prodigioso, e che rimarranno per tutto il monachesimo posteriore, tanto orientale quanto occidentale, non solo dei modelli, ma dei veri padri portatori dello Spirito. Si tratta dei “padri del deserto”, i più grandi dei quali vissero nelle solitudini dell’Egitto e della Siria.
La pace costantiniana aveva avuto come conseguenza una certa penetrazione dello spirito del mondo nella chiesa; una parte della gerarchia stessa non era esente da questa contaminazione.
Il monachesimo apparve allora come una reazione contro il degrado dell’ideale primitivo, contro una chiesa “installata”. Attraverso la propria rinuncia, vero martire non cruento, il monaco rimaneva, al cuore della chiesa, un richiamo costante della condizione escatologica del cristiano, che deve vivere in questo mondo come se non vi fosse: il monaco nella sua solitudine, come il martire nella sua prigione o nell’anfiteatro, è separato da un mondo destinato a perire, egli testimonia la sua appartenenza a un’ altra città, la città degli angeli.
L’Egitto monastico
In seno al movimento monastico, il monachesimo egiziano è pervenuto molto presto a esercitare un’influenza preponderante, in parte a motivo della sua importanza numerica e del valore esemplare dei suoi più illustri rappresentanti, ma anche a motivo della seduzione esercitata dall’immagine quasi mitica dell'”Egitto” e del “grande deserto”.
Antonio il Grande
Secondo Gerolamo, il primo eremita sarebbe stato Paolo di Tebe, che si sarebbe ritirato nella solitudine verso il 250. Tuttavia, dal punto di vista storico, il racconto di Gerolamo non sembra meritare una fiducia incondizionata. In ogni caso, né la personalità di Paolo, né la narrazione della sua vita, hanno avuto sul monachesimo un’influenza paragonabile a quella esercitata da Antonio, soprattutto attraverso la sua Vita scritta da sant’Atanasio. Dice Atanasio: “La vita di Antonio per dei monaci è sufficiente quale modello di vita ascetica”. La storia ha confermato questo giudizio, e Antonio il Grande merita veramente di essere considerato “il padre dei monaci”.
La vocazione stessa di Antonio, con il suo carattere eminentemente evangelico, ha valore esemplare. Nato da una famiglia agiata verso il 250, ma orfano dall’età di diciotto anni, Antonio sente leggere un giorno in chiesa l’invito di Cristo al giovane ricco: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri … poi vieni e seguimi” (Mt 19,21). La parola di Dio, proclamata nella celebrazione liturgica, tocca Antonio come un appello diretto, personale, da parte del Signore. Si mette alla scuola degli asceti lì nelle vicinanze, poi si inoltra sempre più profondamente nel deserto.