
La Via 24 marzo
UN INVITO PRESSANTE (Lc 13,1-9).
Le parole di Gesù oggi appaiono, ad una prima lettura, abbastanza dure.
Egli commenta due grandi disgrazie accadute a Gerusalemme in quei giorni.
Disgrazie simili a quelle del nostro tempo di cui sentiamo quotidianamente notizie: aerei che si schiantano, treni che deragliano, attacchi terroristici, calamità naturali.
E, come per noi oggi, la domanda è sempre la stessa: “cosa fa Dio?”.
Soprattutto l’episodio accaduto nel tempio aveva sconcertato tutti.
Pilato aveva fatto uccidere alcuni Galilei saliti al tempio a pregare perché sospettava una congiura contro di lui.
La cosa bastava a suscitare la domanda e l’obiezione di sempre: “se ci fosse davvero un Dio nel tempio non dovrebbe permettere cose del genere!”.
Che in termini più diretti significa: “se Dio ci fosse e fosse davvero buono non dovrebbe permettere il male!”.
A questo punto ci aspetteremmo un Gesù strenuo difensore di Dio e della sua causa.
E invece niente.
Su questo neanche una parola.
Dio non ha bisogno di essere difeso.
Se no non avrebbe scelto l’inermità della croce.
Dio ha scelto la debolezza per accompagnare gli uomini.
A Lui dobbiamo tutto quello che abbiamo e siamo.
Piangi per una sciagura che ti ha colpito?
Ma la possibilità di godere di ciò per cui ora soffri chi te l’ha data? Non forse Dio?
Gesù non fa commenti su Dio ma sugli uomini.
E di fronte a chi vorrebbe trovare la risposta alla tragedia nella colpa degli uomini malvagi, il Signore invita a alla conversione.
Di tutti non solo di alcuni.
Spesso l’esistenza ci pone di fronte alla nostra vulnerabilità e alla precarietà del vivere.
Siamo polvere e polvere torneremo ci è stato detto all’inizio di Quaresima.
C’è da coltivare anche un distacco e una libertà interiore di fronte alle cose.
Ma pure da raccogliere i segni con cui Dio ci invita a convertirci.
Come per l’albero di fico descritto oggi, anche da noi verrà il tempo di raccogliere frutti.
E questa raccolta non verrà rimandata all’infinito.
Don Umberto

