
La Via 6 dicembre
I DUE INIZI
(Mc 1,1-8).
In questa seconda domenica di Avvento noi ci troviamo di fronte a due inizi.
È strano perché sarebbe stati più ovvio incontrarli domenica scorsa al principio del tempo di Avvento.
E invece, sorprendentemente, i due inizi sono oggi; come se la liturgia ci suggerisse che proprio ad essi dobbiamo fare attenzione.
C’è infatti, nella prima lettura, l’inizio del libro della Consolazione del profeta Isaia; e c’è, poi, l’inizio del Vangelo di Marco.
Come contraddistingue quest’ultimo?
Il deserto.
La parola di Dio risuona nel deserto e anche su Giovanni il Battista.
Egli è un araldo, un annunciatore di quella stessa parola che gli viene rivolta.
Senza dubbio un messaggero avrebbe il suo habitat naturale in una città, laddove ci sono persone alle quale rivolgersi.
E invece no.
Parla e annuncia nel deserto.
Perché il deserto rappresenta la nostra povertà, il nostro vuoto e i nostri limiti.
Noi pensiamo spesso che per accogliere il Signore dovremmo partire dalle nostre qualità.
La Scrittura ci dice invece il contrario.
Il deserto, che è luogo di trasformazione, implica un bisogno, un desiderio di pienezza, una necessità di uscire da una condizione che provoca sofferenza.
È su questo stesso bisogno che si fonda la parola di consolazione di cui è intessuta la prima lettura.
Si può essere consolati solo se si sperimenta l’amarezza di una precedente desolazione.
Il deserto lo troviamo quindi anzitutto dentro di noi: se andiamo in profondità nel nostro cuore emergono le nostre ferite, la nostra solitudine e i nostri vuoti.
Ma in questo tempo il deserto è anche fuori di noi.
Strade deserte, negozi chiusi, attività aggregative sospese.
Anche questo deserto è un passaggio ed è importante considerarlo tale.
Non c’è nulla da beatificare in questo tipo di deserto perché esso non è la normalità. E non dovrà esserlo.
Certamente, come il deserto biblico, sarà luogo di trasformazione.
Mentre ci prepariamo alla venuta del Signore manteniamo viva quella forza interiore che contrasta ogni rassegnazione.
Don Umberto

