
Le ampie pareti del mio cuore
ABBA’nDONARSI_
VITE CHE SCONFIGGONO LA MORTE_
“le ampie pareti del mio cuore” _Etty Hillesum_
“Abbiamo lasciato il campo cantando”_
Era estate quando vi giunsi, è un villaggio di baracche di legno incorniciato da cielo e brughiera, con un campo di lupini straordinariamente gialli nel mezzo e tutto intorno filo spinato. Quello che ora è un centro del dolore ebraico era un luogo deserto e incolto solo quattro anni fa. Intorno alle baracche si snoda filo spinato. Ovunque filo spinato.
Commento : don Umberto
Interprete: Gabriella Carrozza
musiche: Paolo Costanzo (violino), Darko Jovanovic (clarinetto)
riprese: Walter Sarsi, Luigi Lagasi
montaggio : Walter Sarsi
Il Diario di Etty Hillesum ha commosso i lettori di tutto il mondo, ed è ormai considerato fra le testimonianze più alte delle vittime della persecuzione nazista. Ora la versione integrale delle Lettere, scritte in gran parte dal lager di Westerbork – dove Etty andò di sua spontanea volontà, per portare soccorso e amore agli internati, e per “aiutare Dio” a non morire in loro -, ci permette di udire la sua voce fino all’ultimo, fino alla cartolina gettata dal vagone merci che la conduce ad Auschwitz: “Abbiamo lasciato il campo cantando”. A Westerbork Etty vive “l’inferno degli altri”, senza “illusioni eroiche”, recando parole vere là dove il linguaggio è degradato a gergo, là dove i fossati del rancore dividono gli stessi prigionieri, contrapponendo ebrei olandesi a ebrei tedeschi. La resistenza al male si compie in lei attraverso l’amicizia – nata nel campo o mantenuta viva con chi è rimasto libero e manda viveri e lettere -, attraverso la fede e grazie ai libri (come le poesie di Rilke) e alla natura: anche sopra le baracche corrono le nuvole e volano i gabbiani e brilla l’Orsa Maggiore. Per scrivere la storia del lager ci sarebbe voluto un poeta, non bastava la nuda cronaca, aveva detto un giorno un internato a Etty. Non sapeva che quel poema stava già prendendo forma, lettera dopo lettera. E che, da quel fazzoletto di brughiera recintata e battuta da turbini di sabbia, sarebbe giunto fino a noi rompendo un silenzio di decenni.

