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Ritiro a Veano 4 maggio 2013

pdf50TESTI PER LA MEDITAZIONE
1) MOSE’ SERVO DEL SIGNORE E PAOLO
Di P. Stancari, gennaio 1989
All’inizio del cap. 12 incontriamo un testo famosissimo. Leggiamo qui tre versetti, che ancora ci invitano a contemplare la figura di Mosè, il quale – da parte sua – è spettatore di questi avvenimenti, anzi spettatore di questo sfascio. Sappiamo che Mosè è totalmente impegnato per il servizio del popolo; per questo non assume il ruolo del maestro che deve rimproverare o della guida che vuole mettersi in mostra, ma porta il peso di una situazione che lo schiaccia: Mosè ha chiesto aiuto, sempre pronto a intercedere. Adesso, in 12,3,Mosè è definito ҅ānāw Questo termine è dotato, in ebraico, di una singolare pregnanza teologica. Lo si può tradurre, in prima istanza, con il nostro . termine povero. ‘ānāw è il povero nello spirito, nel senso di una qualità che caratterizza l’esistenza umana man mano che essa cresce nel rapporto con Dio e nel coinvolgimento con le cose di questo mondo. Mosè è il povero per antonomasia. Strano, ma è così. Proprio qui, nel nostro testo, gli viene assegnato questo attributo, il cui significato nella rivelazione biblica maturerà poi lentamente. Esso compare in alcuni testi dell’AT’solo nell’epoca successiva all’esilio. Al plurale, è più comune: si parla allora degli lãnāwîm, che compaiono soprattutto nella preghiera dei salmi (cf. Sl 9,13; 10,12.17; 22,27; 25,9; ecc.). Al singolare, compare soltanto nel nostro testo.’ānāw, dunque, è il “povero”, o anche il “mansueto”. In Mt 11,29 Gesù dirà di sé: “Io sono mite e umile di cuore”, ossia “Io sono il povero; io sono ‘ānāw”. Quell’espressione usata da Gesù, che in greco viene formulata mettendo insieme due termini (prays kaì tapeinós), in ebraico si direbbe con un termine solo: appunto con il nostro ‘ānāw.
Mosè, dunque, è ‘ānāw. Con questo titolo si identifica la situazione di colui che è testimone di uno sfascio e che, dinanzi a esso, porta il peso della realtà che lo circonda, che lo attraversa e che gli è affidata. Egli ne porta il peso, senza poterne ottenere in nessuna maniera dei riscontri positivi.
Perché Mosè dev’essere considerato maestro? Ma perché Mosè dev’essere preso in considerazione, quando opera per il popolo, quando soffre addirittura per il popolo, quando intercede e quando prega per il popolo? Che preghi per i fatti suoi! Ma perché dalla sua sofferenza debbono scaturire tanti guai per tutti? Infatti, dalla sua sofferenza dipende il fatto per cui adesso ci sono settanta collaboratori destinati a fare quello che doveva fare lui: povere quelle mogli! Dalla sua sofferenza, inoltre, dipende il fatto per cui le pance degli Israeliti si sono rimpinzate di carne che provoca indigestioni mortifere. I nuovi contestatori danno sfogo a molteplici interrogativi: “Insomma, perché noi dobbiamo passare attraverso la storia di quest’uomo, la pena di quest’uomo, la fatica di quest’uomo, la responsabilità di quest’uomo, la preghiera di questo uomo? C’è solo Mosè in Israele?”.

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