La Via 6 ottobre
AUMENTA LA NOSTRA FEDE! (Lc 17, 5-10).
Quando ti metti a pensare alla fede hai sempre l’impressione di non averla.
E forse, a volte, è proprio così: non ce l’hai, o perlomeno, non abbastanza.
Ma cosa significa “abbastanza”? Quand’è che la fede è tanta o poca?
In fondo, la fede non ha una misura e oggi Gesù ce lo fa capire con l’immagine del granello di senape paragonato al gelso che viene trapiantato nel mare.
La fede non può essere misurata come si può misurare un patrimonio. Se la cerchi nelle tue tasche, o nelle tue buone abitudini religiose, o addirittura nel cuore, hai la sensazione di non trovarla mai.
Questo pensiero a volte ti scoraggia e ti fa sembrare l’avventura cristiana un’esperienza troppo alta per te.
Accade ciò perché la fede deve essere sempre da capo decisa e la percepisci mentre sei in mezzo alle situazioni e non al di fuori di esse.
Credo che accadesse così anche agli apostoli e che anche loro sentissero di avere poca fede. Da qui l’invocazione centrale del Vangelo di oggi “aumenta la nostra fede!”
C’erano momenti nella vita dei dodici, nei quali forte era la sensazione di essere distanti dal maestro, di vivere dinamiche che fossero contrarie alla fede: i loro giudizi, meglio pregiudizi; le loro scelte e soprattutto i loro litigi.
Niente è contrario alla fede quanto un litigio: perché alla radice di una lite c’è il senso di possesso, il sentirsi padroni di qualcosa, o di qualcuno, o di un’idea.
Mentre la figura che incarna la fede è quella del servo, colui che non è padrone di niente. È questa figura che oggi Gesù ci indica: il servo. Inutile, per giunta.
Servi che non cercano il proprio utile.
Al di fuori di questo stile e di questo sguardo che nasce dalla fede restiamo noi esseri umani, da soli, con l’idea mortifera che ci facciamo di noi stessi come di esseri adulti, ragionevoli e padroni del proprio destino e del creato.
Ma inesorabilmente condannati ai conflitti.
Forse è un bene sentirci lontani dalla fede: almeno questo ci costringe ad invocarla, ad implorarla da Dio senza sentircene possessori, ma umili servi cui viene concesso non un diritto ma un dono.
Don Umberto e Don Stefano