Commento e video dipinto di Quaresima 2013
CROCE, GETTATA NEL MONDO, RESISTE IN UN GRIDO, SULLA TUA BOCCA E NEL TUO CUORE.
Qualcuno ha fermato un viaggio, il cammino di una vita: la certezza di un passo sicuro interrotta da morte veloce. Dalle buie trame di pietre antiche, gettata nel mondo a resistere, sacrificio sospeso al centro della storia, immagine emersa da vecchi resti a testimoniare una più lontana vicenda. Nel buio di un tempo senza tempo, custodito con gelosia tra i rocchi e l’elegante pietrame dell’antica Pieve di Vigoleno, resta aggrappata al muro un’immagine dal sapore vetusto, eppure così leggera ed elegante nei tratti. E’ un Cristo in croce. Tutt’intorno, quasi immobili, come in una scena costruita, alcuni angeli, la Vergine addolorata, la Maddalena e Giovanni Apostolo partecipano di quel difficile momento. Quei colori, così consumati, quell’integrità della scena deturpata dal passare impietoso del tempo, quasi resto, traccia di un passato lontano, resi eterni da ciò che raccontano, resistono aggrappati a quelle solide rocce. Ritrovati in tempi recenti, appartengono alla fattura del secolo XV, quando tutto questo luogo era divenuto capace di raccontare la buona notizia della salvezza per gli uomini. Al centro il Cristo esangue: sta versando la sua vita nei calici che recano i pietosi angeli, sangue che redime, versato con generosità, sorgente di vita che non ha fine. E’ così prezioso: raccolto in quei calici che divengono compendio di quanto rende quell’offrirsi, quel lasciarsi spezzare, eterno nel tempo. Divenuto rito qui adombrato, quel gesto ci racconta di come Gesù stesso rese eterno il suo tempo: questo è il mio corpo, questo è il mio sangue; fate questo in memoria di me! Quella croce diviene l’eterno, il tempo sospeso che attraversa il tempo della storia, l’accadere dei volti, degli sguardi, delle mani, delle parole. E con essi degli amori e delle lotte. Tutto si concilia in quel sangue che agli occhi degli uomini parve la giusta punizione di un bestemmiatore, ma a un tempo divenne agli occhi di Dio il Si di una parola pronunciata con amore, di un cuore trafitto, spezzato per la vita. Ed è proprio da quelle mani che avevano fatto del bene e portato guarigione che il sangue viene raccolto, da quei piedi che con umiltà si erano impastati della polvere di umile terra che cola a rendere feconda la terra stessa, da quel fianco squarciato che erompe con violenza il fiotto che sovrabbondante è vita. E’ quel corpo smagrito, offerto, che diviene luminoso, che sa confidare con il grido invocante di quelle parole “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” in colui di cui diviene rivelazione; che sa offrire il proprio cuore perché, aperto, squarciato, non trattenga più quell’amore che inonda, fluente e copioso, tutta la storia e ogni storia. Assistono alla scena, immobili nei loro gesti intuiti, con i segni che li rendono riconoscibili, gli altri tre personaggi. La Madre addolorata volge il suo sguardo quasi consunto del tutto, con un gesto di mesta pietà delle mani raccolte accanto al volto, al figlio impietosamente esposto. La Maddalena, senza più un volto, ma con i nostri occhi, guarda disillusa quel cuore trafitto. L’Apostolo Giovanni con sguardo severo, con gesto sconsolato, osserva sicuro ogni avventore che si fa spettatore. Sono la corona che equilibra, pur nella dismisura delle proporzioni improprie, l’elevarsi tra il cielo e la terra di un corpo aperto, crocifisso, inchiodato affinché non abbia più segreti per il mondo. Sono a testimoniare quell’atto irreparabile, quella rottura che ha aperto una ferita ormai non più sanabile, richiudibile nel cielo, della quale diviene rivelazione quel petto squarciato. La morte era sopraggiunta, veloce, vorace, a voler divorare quel corpo martoriato. Tutto: le parole e il cuore sono inchiodate, senza più segreti. Sono esposti al mondo, perché il mondo possa divenire risposta umile a una violenza smisuratamente abnorme, come smisuratamente amorevole fu quel grido che si sciolse in invocazione: “Padre!”.
Il farsi carne era divenuto spazio, tempo del Figlio che si fa missione, che si fa Dio che viene incontro all’uomo. E l’uomo non esitò a colpire quel corpo per afferrare quel mistero, per possederlo. Quel mistero non fu trattenuto, ma sgorgò abbondante: non si trattenne, ma rimase sospeso continuando ad essere, tempo eterno nel tempo dell’accadere. Esposto, crocifisso, aperto per essere riconosciuto e per essere adorato, nel permanere di una spaziatura: quegli angeli a narrare della presenza del tempo eterno di Dio in quell’ora, quei volti di carne a raccontare dell’ora del tempo d’ogni uomo. Una distanza che chiede di essere abitata, di farsi dimora in cui lasciare che il dire e il cuore squarciato del Figlio di Dio si accordino con l’umile dire del cuore di ogni uomo. L’antica immagine dell’ancor più antica Pieve di Vigoleno: nel buio di un luogo in cui il mistero luminoso pervade con umiltà lo sguardo di ogni avventore, consunti colori raccontano quell’affascinante storia che nasce dal grido che si fa invocazione. Padre! L’ancestrale velo di prigionieri ignari, il solo parlare di calci e pugni, l’esser turbe affamate e assetate di chiari pensieri, diviene così, dinanzi a quell’immagine aperta, parola libera, balsamo che lenisce ogni ferita, manna donata dall’aprirsi di una mano generosa, acqua che sgorga da sorgente nel deserto. Fiorisce così la spiga della fede, da quel chicco che aperto, mostrato, sprofondato, sotterrato nel nostro leggiadro inferno, porta il frutto benedetto della salvezza.
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