Cantico dei Cantici

Cantico dei Cantici 7

(Registazione lettura capitolo 7 & [audio:https://www.parrocchiaroveleto.it/wp-content/uploadspdf50/2014/04/Lettura-Capitolo-7.mp3]download50

Commento di Don Umberto.)

È importante per Gesù ascoltare la voce del Padre e seguirla. Gesù nella sua esistenza terrena non era, per così dire, «telecomandato»: era il Verbo incarnato, il Figlio di Dio fatto uomo, e a un certo punto ha preso la ferma decisione di salire a Gerusalemme per l’ultima volta, una decisione presa nella sua coscienza, ma non da solo: insieme al Padre, in piena unione con lui! Ha deciso in obbedienza al Padre, in ascolto profondo, intimo della sua volontà. E per questo la decisione era ferma, perché presa insieme con il Padre. E nel Padre, Gesù trovava la forza e la luce per il suo cammino. E Gesù era libero, in quella decisione era libero. Gesù vuole noi cristiani liberi come lui, con quella libertà che viene da questo dialogo con il Padre, da questo dialogo con Dio. Gesù non vuole né cristiani egoisti, che seguono il proprio io, non parlano con Dio; né cristiani deboli, cristiani che non hanno volontà, cristiani «telecomandati», incapaci di creatività, che cercano sempre di collegarsi con la volontà di un altro e non sono liberi. Gesù ci vuole liberi e questa libertà dove si fa? Si fa nel dialogo con Dio nella propria coscienza. Se un cristiano non sa parlare con Dio, non sa sentire Dio nella propria coscienza, non è libero. […] La coscienza è lo spazio interiore dell’ascolto della verità, del bene, dell’ascolto di Dio; è il luogo interiore della mia relazione con lui, che parla al mio cuore e mi aiuta a discernere, a comprendere la strada che devo percorrere, e una volta presa la decisione, ad andare avanti, a rimanere fedele.

San Paolo, scrivendo ai Galati, afferma: «Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (6,14). E parla di «stigmate», cioè delle piaghe di Gesù crocifisso, come del contrassegno, del marchio distintivo della sua esistenza di apostolo del vangelo. Nel suo ministero Paolo ha sperimentato la sofferenza, la debolezza e la sconfitta, ma anche la gioia e la consolazione. Questo è il mistero pasquale di Gesù. Mistero di morte e di risurrezione. Ed è proprio l’essersi lasciato conformare alla morte di Gesù che ha fatto partecipare san Paolo alla sua risurrezione, alla sua vittoria. Nell’ora del buio, nell’ora della prova è già presente e operante l’alba della luce e della salvezza. Il mistero pasquale è il cuore palpitante della missione della Chiesa! E se rimaniamo dentro questo mistero noi siamo al riparo sia da una visione mondana e trionfalistica della missione, sia dallo scoraggiamento che può nascere di fronte alle prove e agli insuccessi. La fecondità pastorale, la fecondità dell’annuncio del vangelo non è data né dal successo, né dall’insuccesso secondo criteri di valutazione umana, ma dal conformarsi alla logica della croce di Gesù, che è la logica dell’uscire da se stessi e donarsi, la logica dell’amore. È la croce – sempre la croce con Cristo, perché a volte ci offrono la croce senza Cristo: questo non va! – che garantisce la fecondità della nostra missione. Ed è dalla croce, supremo atto di misericordia e di amore, che si rinasce come «nuova creatura» (Gal 6,15).