Omelia festa di Fabio e Paolo
“DUE DI LORO” (Lc 24, 13)
Ripenso a Paolo e Fabio e l’immagine dei due di Emmaus non mi abbandona.
Forse proprio perché sono due; o forse perché anche loro hanno sperimentato lungo il cammino la vicinanza del Signore; o anche perché quei due venivano da una comunità precisa e a quella comunità hanno fatto ritorno.
Per i nostri la comunità di partenza siamo noi e la festa che stiamo per vivere è il loro ritorno.
Certo, ritorno fugace, breve e temporaneo.
Ma quanto sarà durato il ritorno di Cleopa e dell’anonimo compagno? Il tempo d’una Pentecoste.
E poi via, sulle strade del mondo, ben più vaste di una diocesi.
Nei giorni di questo loro ritorno, li accogliamo come chi attende da loro la Parola della buona notizia.
Ma anche con il desiderio di poter dire il nostro grazie.
Personalmente mi sento molto coinvolto dalla loro storia: il Signore mi ha fatto il dono di vedere nascere queste vocazioni, di poterle accompagnare e di gustarne ora il compimento.
Le parole della mia gratitudine nascono dal cuore, non ho, di fronte a loro, nessun altro luogo a cui attingere per dire qualcosa.
O forse sì , un altro luogo c’è: l’esperienza.
È l’esperienza che permette di restituire il tesoro prezioso maturato nel ministero.
Così le mie parole si fanno preghiera e la mia preghiera si fa augurio.
Prego il Signore che Paolo e Fabio possano LAVORARE e lavorare tanto, senza risparmiarsi.
Che giungano alla sera dei loro giorni stanchi, ma pieni; distrutti ma felici.
Che sentano il gusto del lavoro pastorale ben fatto e non abbiano la coscienza di chi ha giocato al ribasso.
Lascino risuonare nel cuore le parole di Isaia “quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi”.
Poi chiedo al Signore che Fabio e Paolo possano RESPIRARE. E non intendo “tirare il fiato ogni tanto”; anche se ci vuole. Intendo piuttosto che non si lascino schiacciare da quelle cosine di poco conto, da quelle beghe da cortile che inevitabilmente la vita di ogni parrocchia reca con sé.
Respirare significa allargare l’orizzonte, aver a cuore la Chiesa intera e non solo la propria, palpitare ed emozionarsi per un buon libro, una conferenza ascoltata, un’opera d’arte.
Respirare insegna a scegliere, a comprendere quel che dobbiamo fare e quel che possiamo anche lasciar perdere, nella convinzione che chi vuole essere dappertutto non è mai da nessuna parte.
Non mi fermo però; insisto con Gesù e chiedo per Paolo e Fabio il dono di SBAGLIARE.
Sbagliare anche tanto, ma prendere coscienza dei propri errori.
Sentirne tutta l’amarezza, patirne l’umiliazione e lasciarsi correggere dalla vita, imparando a ridere di se stessi e a non prendersi troppo sul serio.
Benedetti sbagli, benedetti errori che sono “angeli e carezze di Dio.”
Solo gli sbagli ci rendono umili, aiutano noi preti a limitare la prepotenza del nostro ego, sempre in agguato e sempre pronto a camuffarsi sotto le spoglie della responsabilità ultima nelle decisioni.
Mi riservo, alla fine, un’ultima richiesta.
Al Signore chiedo che Fabio e Paolo possano INNAMORARSI.
E non delle idee, non dei valori, ma delle persone.
Ogni volta che ci si innamora si diventa migliori: si allarga il cuore, si relativizzano le difficoltà, ci si dona in pienezza.
Soprattutto non si cerca il contraccambio.
Non vengano contagiati dal virus del formalismo e dell’aridità di cuore che ogni tanto si abbatte su noi preti.
Si innamorino delle singole storie che incontreranno e se un giorno dovranno ammettere di amare la gente più di Dio si ricordino che il nostro è un Padre che perdona.
Buon cammino
Don Umberto