Sant’Ambrogio nello zaino
L’inizio dell’anno scolastico in Italia offre l’opportunità di riprendere alcune istruzioni dei Padri della Chiesa sull’attività di studio. La letteratura patristica infatti è feconda di insegnamenti sull’arte di studiare e, per citare un’opera famosa di Basilio Magno, «sul modo di trarre profitto dallo studio» (cfr. Basilio Magno, Ad adolescentes, Patrologia Graeca, 31, 564).
Naturalmente non c’è una regola, una ricetta per riuscire negli studi. I Padri si limitano a dare, ognuno dal proprio particolare e personale punto di vista, delle indicazioni di metodo. Il criterio della gradualità e dell’utile, a immagine delle api «che non vanno indistintamente su tutti i fiori (…) ma prendono il necessario e il resto lo lasciano», è quello proposto da Basilio Magno (Ad adolescentes, 3; Patrologia Graeca, 31, 569).
Neppure l’importanza dell’esercizio può essere trascurata. Il riassumere e il sintetizzare, l’uso stesso della memoria rappresentano dei momenti essenziali nel percorso di apprendimento tanto che sant’Ambrogio, dopo essersi domandato in maniera evidentemente retorica: «Come si può imparare senza applicazione e trarre profitto senza pratica?» (De officiis ministrorum, 1, 10, 31; Patrologia Latina, 16, 33), conclude affermando che «ogni cosa si migliora con esercizi adatti e abituali» (De officiis ministrorum, 1, 10, 33; Patrologia Latina, 16, 33).
Ma studiare non è solo questo e non può essere solo questo. Bisogna sentirne il piacere, divertirsi imparando, come vuole san Gerolamo quando, a proposito dell’avviamento allo studio della figlia di Leta, scrive che esso deve avvenire in modo tale che risulti come un gioco («Giochi con le lettere e il gioco stesso le serva per imparare», Epistola, 107, 4; Patrologia Latina, 22, 871); avvertenza che viene ripetuta anche per un’altra bambina, Pacatula, per la quale l’imparare «non deve essere un lavoro ma un piacere, non una necessità ma un atto volontario» (Epistola, 128, 1; Patrologia Latina, 22, 1096).