La Via 5 ottobre
DI CHI E’ LA VIGNA (Mt 21, 33-43)
Ancora la vigna. Per la terza domenica consecutiva.
Sembra che questi vangeli siano stati scelti apposta in questo mese di settembre, tempo di vendemmia e di filari che si spogliano.
Ma sembra anche che ci venga sussurato un pensiero: il lavoro, quello quotidiano, è una metafora della vita spirituale.
Lavorare, è una benedizione (e ce ne rendiamo conto oggi in modo drammatico) non solo per ciò che guadagni, ma anche per quel rapporto con il creatore che puoi stabilire con il lavoro ben fatto.
Per questo, una società che si impegna a migliorare, senza demagogia, il mondo del lavoro non migliora solo il benessere dei cittadini, ma anche la loro situazione morale.
La parabola di oggi parla ancora agli scribi e farisei del popolo di Israele.
Gesù vuole tenacemente condurli a comprendere la verità, per questo insiste tanto con loro.
Lo fa con un linguaggio simbolico, senza attaccarli direttamente.
Sempre però il linguaggio delle parabole può scivolare via senza effetto. Parla solo a chi è disposto a lasciarsi provocare.
E non pare proprio che scribi e farisei si aprano alle provocazioni di Gesù …
C’è una storia che parla da sola, sotto i loro occhi: gente lontana, straniera, emarginata viene coinvolta dal Signore nel disegno di salvezza. A loro sarà data la vigna, cioè l’opera di Dio.
Ma quando si è ciechi è difficile vedere come stanno le cose e soprattutto pensare a come potrebbero essere in futuro.
Da questo punto di vista questa parabola è una bella rilettura sapienziale della nostra storia: la vecchia cristianità europea che deve accogliere popoli nuovi come strumenti dell’opera di salvezza di Dio.
Insopportabile pensiero? Troppo facile a dirsi?
Tra le regole sacrosante e la disciplina necessaria, tra l’invocato rigore e i confini da chiudere, vorremmo che questa chiave di lettura avesse almeno il diritto di cittadinanza.
Forse ci aiuterebbe a non incappare nella stessa cecità di scribi e farisei; ancor meglio ci aiuterebbe a non pensare, come quei vignaioli, che la vigna ci appartenga, che ciò la terra sia nostra, le città siano nostre, la vita sia nostra.
Nulla è nostro.
O meglio “tutto è nostro, ma noi siamo di Cristo e Cristo è di Dio.” (1 cor 3, 22-23)
Don Umberto e Don Stefano