La Via 12 ottobre
AGENDE PIENE (Mt 22,1-14).
Il vangelo di Matteo ha una ventina di parabole.
Esse non sono narrate tutte insieme ma sono distribuite e raccolte in quattro gruppi.
Se le leggiamo tutte di fila abbiamo la sensazione di un lento passaggio dal racconto di cose quotidiane e ordinarie alla narrazione del grande disegno di Dio sulla storia.
E insieme a questa anche la percezione di un progressivo disincanto, quasi una delusione che Gesù avverte in fondo al cuore.
La parabola di oggi si colloca quasi alla fine di questo itinerario.
Gesù la pronuncia negli ultimi giorni di vita a Gerusalemme.
Egli aveva tanto desiderato l’incontro con la città santa; l’aveva pregustato a lungo come un evento destinato a realizzare la visita di Dio al suo popolo: per questo usa l’immagine delle nozze. Era la più esplicita, la più adatta.
Nozze tra Dio e l’umanità: alleanza d’amore sancita per sempre.
E invece …
E invece il rifiuto, la non accoglienza e la disattenzione.
Di queste parla la parabola. E parla a noi. Racconta dei continui inviti che Dio ci fa a vivere in intimità con lui e delle ripetute risposte negative tanto simili a quelle della gente al tempo di Gesù.
Agende troppo piene per poter dire di “sì” all’invito a stare con lui che Dio ci rivolge.
È una razza in aumento quella delle persone dall’agenda piena. Ne facciamo parte in tanti: incapaci a dire di no e forse inconsciamente illusi che la vita vale se si hanno tante cose da fare.
Per poi ritrovarsi vuoti, troppo indaffarati per vivere davvero.
Ci vuole così poco a riempirsi l’agenda per le ragioni più futili!
Ma tutte ci sembrano importanti, tutte urgenti e nulla pensiamo circa l’incredibile miseria dell’uomo che si pone in modo disattento e superficiale – stupidamente superficiale – di fronte alla grandiosità dell’invito di Dio.
È solo il rapporto con lui a render la vita degna di questo nome.
Anche chi questo invito lo accoglie corre però un rischio: quello di pensare che il suo carattere gratuito escluda la necessità di una conversione laboriosa e faticosa.
E così si entra alla sala del banchetto senza avere l’abito nuziale, che non è un abito fatto di opere o di attività di stampo religioso, ma l’abito interiore di chi trova spazio e tempo perché Dio venga ad abitare in lui.
Noi vogliamo bene al Signore (non solo lui a noi); e come per ogni persona a cui si vuole bene, vorremmo togliergli quel fondo di delusione che oggi, in questa parabola, ci sembra di avvertire in Lui.
Don Umberto e Don Stefano