La Via 2 novembre
Il due novembre riaffiorano immagini antiche, gesti che si perpetuano nel tempo: i fiori, le persone che si incontrano nei vialetti, il silenzio che avvolge le cose, la memoria dei propri cari.
E l’impossibilità di sfuggire al pensiero della morte.
Anche se la strisciante e ingenua logica del “meglio non pensarci” sembra contagiare anche giorni importanti come questo.
Chi è giovane e pieno di forza guarda con sufficienza ai riti di oggi, come fossero cose che non lo riguardano.
Chi invece ha qualche anno in più e magari è stato toccato dalla perdita di una persona amata avverte oggi che quel sordo dolore si rinnova e che la solitudine rimossa torna a bussare. Magari per dirti che quella vita fatta di abitudini consolidate, di gesti ripetuti ma carichi di affetto non ci sarà mai più.
E allora ti prende lo sconforto. Ma anche la voglia di non lasciarti schiacciare.
Ti chiedi cosa puoi fare ancora per le persone amate che non ci sono più.
A lungo abbiamo considerato la loro compagnia assolutamente irrinunciabile alla nostra vita; esse hanno contribuito a fare di noi quello che siamo. È come se avessimo un debito. Potremo mai ripagarlo?
Quasi inconsciamente i gesti del due novembre rispondono a questa domanda.
È il modo di tener vivo un legame; è l’esigenza di non arrendersi al fatto che la nostra vita sia possibile senza di loro, perché sarebbe come un tradimento, una smentita di tante promesse fatte, magari senza parole, quando essi erano in vita.
Sono pensieri giusti, sentimenti nobili.
Ma c’è qualcosa in più, qualcosa di diverso.
La fede cristiana opera un cambio di prospettiva.
E se fossero loro a fare qualcosa per noi? Certo il dono che vorremmo sarebbe il loro ritorno, la loro presenza. Ma può tornare indietro la storia?
Abbiamo un cammino ancora da compiere, e lo compiremo con ciò che essi ci hanno dato e che ora, da risorti, continuano a darci:
la forza, nutrita dalla fede, di non arrendersi a quella voce che parla della vanità inesorabile del vivere;
il coraggio di fare il bene;
la speranza di vita eterna.
In questi giorni mi hanno regalato una frase di Italo Calvino. Sono le parole con cui si chiude il bel libro “ Le città invisibili ”.
L’ho letto due volte, ma non avevo evidenziato questa frase. Ci vuole sempre qualcuno che ti apra gli occhi; d’altronde a questo servono gli amici: “… l’inferno lo abitiamo tutti i giorni … Due modi ci sono per non soffrire. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”
Ecco abbiamo ricevuto un compito.
Di generazione in generazione.
Don Umberto e Don Stefano