Visitare gli ammalati
VISITARE GLI AMMALATI.
“COLUI CHE TU AMI E’ MALATO”
(Gv 11, 3)
Brano di riflessione per la lettura personale
Visitare gli infermi
Gli ospedali hanno degli orari di visita. Questi vengono senz’altro sfruttati intensamente. I parenti e gli amici vengono a trovare i loro malati. Portano loro un mazzo di fiori o una bottiglia di succo di frutta. E parlano con loro. Evidentemente il precetto di Gesù oggi viene seguito. Ma la questione è sul come visito gli infermi.
Talvolta si ha l’impressione che sia soltanto un dovere gravoso. Si vuole dimostrare la propria preoccupazione e il proprio legame con il malato. Ma è davvero sempre una visita?
Per il malato si tratta di prenderlo davvero in considerazione, di cercare sinceramente la sua verità. Vado a vedere che cosa fa una certa persona e come sta davvero. Ciò richiede un interesse per l’altro. Sono aperto a ciò che mi dice, anche se mi disorienta e mi mette in discussione. In molte visite si ha l’impressione che i visitatori non vogliano sentire davvero come sta l’infermo. Soprattutto se è un malato grave e versa in pericolo di vita, molti vorrebbero mettere subito a tacere le sue allusioni che le sue condizioni sono serie rassicurandolo che tutto andrà bene, che il malato ben presto sarà dimesso dall’ospedale e si rimetterà completamente. Il malato sa benissimo che non è vero. Ma anche lui spesso ha paura di disorientare i suoi familiari. Non vuole essere un peso per loro con la storia del suo male e con la sua paura della morte.
Il Nuovo Testamento torna sempre a parlare del fatto che Gesù guarisce i malati e che i malati vanno da Gesù per essere guariti da lui. Le parole greca e latina per ‘malato’ significano anche sempre ‘debole’ (asthcnès, infirmus). Paolo mette in conto che tra i cristiani ci siano molti deboli, in contrasto con i forti. Ammonisce i tessalonicesi: «Fate coraggio a chi è scoraggiato, sostenete chi è debole [i malati], siate magnanimi con tutti» ( 1 Ts 5,14). Con queste parole non si intende il fare visita agli infermi, bensì l’accogliere i malati nella comunità, non emarginarli. Giacomo esorta i malati a chiamare a sé i presbiteri della comunità, affinché preghino su di loro dopo averli unti con olio nel nome del Signore. La preghiera intende guarire il malato (Gc 5,14s.). Giacomo considera la comunità come doverosamente responsabile dei suoi malati. La comunità non deve bandire o dare per persi i malati, ma occuparsi di loro. Nel modo in cui una comunità si occupa dei propri malati si vede se è conforme allo spirito di Gesù oppure no.