La Via 13 settembre
Proprio con questa esclamazione qualche amico ha accolto le mie parole quando ho detto che avrei ricominciato a scrivere LA VIA.
Non so se queste righe siano poi così attese e desiderate; mi piace pensare di sì; è un fattore automotivante. Certo che un po’ di tempo sabbatico ci voleva: da una parte perché per scrivere occorre avere qualcosa da dire, dall’altra perché la ripetitività e la scontatezza sono le cose peggiori.
Quindi, riprendiamo.
E lo facciamo con una pagina del Vangelo di Marco nella quale Gesù interroga i suoi: “e voi chi dite che io sia?”
Attraverso quale portale di ingresso entriamo in questa domanda di Gesù?
Le intenzioni dell’evangelista?
Il pensiero del Signore stesso?
Il cuore dei discepoli che si sentono rivolgere queste parole?
Da tutte e tre, una ad una.
L’intenzione dell’evangelista è semplice: tutto il Vangelo di Marco è scritto per presentare Gesù come Figlio di Dio, nella sua vera identità.
E questa domanda (che sta al centro esatto del Vangelo) costituisce la chiave di volta dell’intera narrazione.
Poi c’è il pensiero del Signore.
Si può entrare nella mente di Gesù o non è troppo pretenzioso?
Forse sì, ma è anche affascinante.
È come un viaggio mai concluso.
Certamente il Signore pose questo interrogativo perchè i discepoli chiarissero a se stessi il motivo della loro sequela.
Ma non penso di essere in errore se immagino che anche Gesù, nella sua umanità abbia sentito la necessità di capire se coloro che gli erano vicini lo conoscessero davvero.
Perché la sensazione di non essere conosciuti da coloro che dicono di amarci, da coloro che camminano al nostro fianco giorno dopo giorno, è un dolore che genera solitudine.
Ed è umano volerlo evitare.
Infine ci resta l’ultima l’ultima parte, il cuore dei discepoli.
Infinite volte si saranno chiesti chi era davvero quell’uomo che stavano seguendo, chi era colui al quale avevano affidato la loro vita. E la loro risposta è andata via via modificandosi, anche attraverso la crisi. La crisi del Getsemani ad esempio allorchè abbandonandolo, dichiararono implicitamente di non fidarsi più di Lui, di aver sbagliato a consegnare la vita ad un uomo così.
Quel giorno a Cafarnao, Gesù le domande le fece Lui, in modo diretto e spiazzante; come spiazzanti sono quelle domande che fanno emergere ciò che da sempre ti porti dentro ma non trovi la forza di dire.
Anche a noi è posta oggi questa domanda affinchè possiamo giungere, per grazia di Dio e se Lui lo vuole, alla nostra professione di fede.
A noi tocca avere il coraggio di fuggire le risposte preconfezionate, gli stereotipi su Gesù che ci hanno benevolmente consegnato.
Rispondere a certe domande richiede lealtà, onestà e in fin dei conti anche libertà.
Richiede quel coraggio di rimettersi in gioco che hanno coloro che cercano di non essere troppo d’accordo con se stessi.
Ne potrebbe derivare un allontanamento che comunque è parte di ogni cammino di fede.
E se anche ci sembrasse di abbandonare il Signore, Lui però non ci abbandona.
Don Umberto